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cC6O4, acquevenete ha già attivato i filtri

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16 Apr 2019


Sono scattate immediatamente le contromisure, dopo il rilevamento, nell’acqua del fiume Po a valle della centrale di Corbola (RO), del composto cC6O4, “inquinante emergente”, una sostanza di nuova generazione, analoga alle perfluoroalchiliche (PFAS), di cui ancora non si conoscono gli effetti sulla salute umana.

Dopo la segnalazione da parte di Arpav, ricevuta lo scorso 28 marzo, acquevenete ha eseguito ulteriori controlli, riscontrando la presenza di questo composto nell’acqua grezza del fiume Po, in corrispondenza delle opere di presa. Sono quindi subito scattate le azioni, in base al principio di precauzione, per abbattere la potenziale diffusione di questo inquinante. In particolare, acquevenete ha attivato, oltre al monitoraggio “pilota” del cC6O4, la tempestiva e precauzionale sostituzione di tutti i filtri a carbone attivo, già presenti presso le proprie sei centrali che insistono sull’asta del Po.

«Dopo l’emergenza idrica di ottobre, acquevenete, in coordinamento con ATO Polesine, aveva già messo in campo un piano per ottimizzare e rendere più sicuro l’approvvigionamento idrico dai fiumi» sottolinea Piergiorgio Cortelazzo, presidente del gestore idrico. «Eravamo consapevoli del fatto che il fiume Po fosse il punto più critico, sotto l’aspetto del rischio inquinanti emergenti, per il vastissimo bacino che sottende. Ci siamo quindi attivati da subito anche su questo fronte, potendo contare sull’esperienza del Laboratorio di analisi acquevenete, che è all’avanguardia nel monitoraggio delle sostanze PFAS. A fine marzo, Arpav ci ha segnalato la presenza di questa sostanza cC6O4. Fortunatamente tutte le centrali sul Po, dopo l’inquinamento di fine anni Ottanta, sono già dotate di filtri a carbone attivo. In questo modo, grazie da un lato al nostro Laboratorio già attrezzato, e dall’altro al fatto che le centrali avevano già i filtri installati, abbiamo potuto agire immediatamente per verificare l’abbattimento del cC6O4».

«In particolare» continua Cortelazzo «le indagini svolte dal Laboratorio acquevenete hanno verificato che una filtrazione lenta sui carboni attivi agisce positivamente nel trattenere questa sostanza. Quindi, come comunicato ad Arpav e Ulss, ci siamo subito attivati per la sostituzione dei carboni nei filtri in tutte le centrali sul Po. Già prima i filtri c’erano e davano una miglioria, ora che sappiamo della presenza di questa sostanza il carbone verrà sostituito con frequenza maggiore, per assicurarne l’abbattimento».

«Di concerto con acquevenete abbiamo individuato la soluzione migliore, che però non potrà essere quella definitiva» evidenzia il presidente di ATO Polesine, Leonardo Raito. «Dalle prime indagini, infatti, sappiamo che i carboni si esauriscono in tempi abbastanza rapidi, per cui l’operazione dovrà essere ripetuta sistematicamente, il che comporterebbe un costo stimabile in 600.000 euro l’anno. La soluzione a regime può essere solo quella di dismettere le centrali sul fiume Po e cambiare fonti di approvvigionamento, mediante interconnessioni con le centrali sull’Adige e, per la zona del basso polesine, con l’acqua pedemontana proveniente da Camazzole». 

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